Servo di Dio Nicolò Daste Sacerdote e fondatore

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Sampierdarena, Genova, 2 marzo 1820 – 7 febbraio 1899
Nicolò Daste, nativo di Sampierdarena, oggi quartiere di Genova, avvertì nell’infanzia la vocazione al sacerdozio. Tuttavia non poté realizzarla subito perché, alla morte del padre, dovette lavorare nella falegnameria di famiglia. Ordinato sacerdote a 46 anni, offrì la sua assistenza spirituale a un orfanotrofio femminile, guidato dalla giovane Apollonia Dellepiane. Le sue prime collaboratrici, come anche alcune orfane, vollero consacrarsi a Dio tramite il servizio alle orfane: sorsero quindi le Suore della Divina Provvidenza, dette popolarmente “Suore di Don Daste”. Fattosi educatore e mendicante per le sue orfane, don Nicolò Daste divenne famoso grazie alla sua intensa e paterna carità. Morì, compianto dalle orfane e da tutta Sampierdarena, il 7 febbraio 1899. La Santa Sede ha concesso il nulla osta per l’avvio della sua causa di beatificazione l’11 maggio 2006; la fase diocesana è iniziata a Genova il 17 febbraio 2017. I resti mortali di don Nicolò Daste riposano dal 20 maggio 1965 nella nuova cappella della Casa madre delle Suore della Divina Provvidenza, in Salita Belvedere 2 a Genova.

Infanzia e prima educazione religiosa
Nicolò Daste nacque a San Pier d’Arena (oggi Sampierdarena, quartiere della città di Genova) il 2 marzo 1820, figlio di Giovanni Battista Daste e Giulia Parodi. Fu battezzato lo stesso giorno della nascita presso la parrocchia di San Martino e Santa Maria della Cella, che all’epoca era l’unica del paese.
La madre fu la sua prima educatrice: gl’insegnò a leggere e scrivere e coltivò la sua inclinazione verso la religione. Lo portava spesso in parrocchia, dove il bambino imparò a servire la Messa: i fedeli rimanevano molto colpiti dal suo atteggiamento raccolto.
Probabilmente fu per questa ragione che fu ammesso alla Prima Comunione in anticipo rispetto all’uso dell’epoca: a dieci anni, nel 1830, superò gli esami del catechismo. Da quel momento in poi, il suo scopo fu uno solo: diventare sacerdote.

Orfano e apprendista falegname
I genitori si aspettavano che Nicolò portasse avanti la falegnameria di famiglia, ma la sua intenzione di diventare prete era più forte. Proseguì quindi la sua istruzione: dal 1830 al 1834 sotto la guida di don Galliano, cappellano dell’Oratorio di San Martino e, negli anni 1834 – 1835, con don Bartolomeo Ansaldo, cappellano dell’Oratorio della Morte.
Tuttavia, quando aveva quindici anni, suo padre morì: era il 23 gennaio 1835. Dovette quindi interrompere gli studi e aiutare lo zio Giuseppe e il fratello Giacomo nell’attività di falegname. Avrebbe voluto continuare a studiare almeno per un’ora al giorno, ma lo zio, che era subentrato al padre nella conduzione dell’attività, glielo proibì severamente.
L’unica a comprendere la sua sofferenza era sua madre: quando morì, nel novembre 1842, Nicolò si sentì abbandonato, ma non per molto. Intensificò la sua vita di fede e le opere di carità cui già si dedicava: era infatti cassiere della Confraternita delle Anime, nonché membro delle Congregazioni del Santo Rosario, del SS. Nome di Gesù e della Dottrina Cristiana; quest’ultima aggregazione comportava l’impegno a tenere lezioni di catechismo. Infine, era guardarobiere della Conferenza di San Vincenzo de’ Paoli.

La vocazione persiste
Dopo venticinque anni di lavoro, Nicolò sentiva di non poter più resistere alla sua vocazione sacerdotale. Ormai aveva quarant’anni e all’epoca non c’erano molte possibilità per le “vocazioni adulte”: gli serviva quindi un precettore privato. Intanto suo fratello e sua sorella erano diventati autonomi, perciò si sentiva in dovere di seguire la propria strada.
Il 15 agosto 1860 lasciò due lettere, una allo zio Giuseppe e una al fratello, poi prese il treno per Voltri e da lì si recò a Masone. Tuttavia, in quel luogo non trovò nessuno che volesse fargli da maestro: la sua età e il dubbio se la vocazione fosse sincera apparivano un ostacolo.

In cerca di un maestro
Nicolò non si lasciò abbattere: il 21 gennaio 1861 arrivò a Certosa di Rivarolo. Il parroco-arciprete di San Bartolomeo gli promise che gli avrebbe impartito delle lezioni: tuttavia, una volta che si fu reso conto delle doti imprenditoriali del candidato, lo rese membro della fabbriceria e gli assegnò il compito di sovrintendente ai lavori di restauro della chiesa parrocchiale e della canonica.
Tutti quegli impegni, benché valorizzassero le sue capacità, lasciavano ben poco tempo per lo studio. Così, nel 1863, Nicolò tornò a Genova: trovò dimora presso la chiesa di San Pancrazio, nel centro storico, alla condizione di poter studiare mentre faceva da inserviente. Neanche quella sistemazione, però, andava bene.
Dopo tredici mesi a San Pancrazio, Nicolò si trasferì a Multedo di Pegli: don Vincenzo Carlini, cappellano della cappella gentilizia di Villa Rostan, si offrì spontaneamente di fargli da insegnante.

Sacerdote a 46 anni
Dopo aver finalmente trovato la sua stabilità, Nicolò si diede pienamente agli studi: per tre anni affrontò i libri nell’ambiente tranquillo di Villa Rostan. Nel 1866 monsignor Andrea Charvaz, arcivescovo di Genova, l’accettò ufficialmente come candidato agli ordini sacri.
Nicolò compì quindi un ritiro spirituale in preparazione alla vestizione, presso i padri Cappuccini a Campi. Ricevette poi l’abito talare nella cappella privata del palazzo di famiglia di monsignor Giacomo Filippo Gentile, vescovo di Novara e genovese, a Cornigliano, su concessione dell’arcivescovo monsignor Charvaz, che in seguito lo ordinò suddiacono.
L’ordinazione diaconale gli fu conferita da monsignor Alerame Pallavicino a San Michele di Pagana. Infine, il 24 giugno 1866, fu ordinato sacerdote. Aveva compiuto 46 anni da qualche mese.

«È un prete che è veramente prete!».
Celebrò la sua Prima Messa il 29 giugno seguente nella chiesa di San Martino e Santa Maria della Cella, presso la quale fu assegnato come cappellano. Il suo ministero fu da subito improntato a due aspetti: estrema serietà e religiosità nelle celebrazioni e delicata carità verso i poveri che, dopo la Messa, affollavano il corridoio adiacente alla sacrestia.
In una città come San Pier d’Arena, caratterizzata dalla forte influenza del socialismo di stampo marxista, non mancavano tuttavia persone che si lasciarono interrogare e convertire da quel sacerdote non più giovane, oltre che dalla sua disponibilità verso chiunque avesse bisogno di lui. Ben presto, la gente iniziò a commentare: «È un prete che è veramente prete!».

L’inizio dell’opera per le orfanelle
Camminando per le strade di San Pier d’Arena, don Nicolò si rese conto che molti ragazzi vivevano abbandonati, senza educazione e senza nulla da mangiare. Iniziò ad aiutarli come poteva, ma sentiva di dover fare di più.
Era lo stesso intento che animava una giovane, Apollonia Dellepiane. All’inizio del 1866, si era consigliata con madre Angela Massa, dell’Istituto delle Madri Pie fondate dall’abate Paolo Gerolamo Franzoni, circa l’opportunità di aprire una casa per accogliere bambine e ragazze, così da istruirle e indirizzarle a una vita più cristiana.
Madre Massa le suggerì di pregare a lungo su quella questione, poi, pochi mesi dopo, chiese ad Apollonia di cominciare a insegnare il catechismo alle ragazze e di intrattenerle per qualche ora al giorno, con lavoretti e conversazioni spirituali. Le prime tre che furono accolte, però, si affezionarono così tanto alla loro educatrice che non vollero tornare a casa. Madre Massa chiese quindi ai suoi superiori il permesso perché vivessero con Apollonia e lo ottenne.

Educatore e mendicante
Nel marzo 1867, madre Massa dovette essere trasferita a La Spezia, per l’apertura di una nuova casa del suo Istituto. Entrò quindi in contatto con don Nicolò grazie a don Pietro Gallo, amico di lui, nonché direttore spirituale dell’Istituto Franzoniano di Genova. Don Nicolò non si sentiva capace di assumersi la grande responsabilità di direttore spirituale dell’opera impiantata da Apollonia Dellepiane, ma alla fine accettò di esserne almeno l’economo.
Di fatto, però, divenne subito il padre delle orfanelle: si fece ben presto amare da esse per la sua capacità di ascolto e di correzione senza giudizio. Per loro si rese anche mendicante, caricandosi sulla schiena enormi sacchi contenenti patate, granturco o altri generi alimentari.
Sapeva difendersi dallo scherno della gente, che non mancava al pari dell’ammirazione nei suoi riguardi. Ad esempio, un giorno alcuni giovani lo presero in giro: «Ecco il sacco di carbone!», alludendo alla sua veste nera da sacerdote. Lui replicò: «Proprio di carbone hanno bisogno le mie orfanelle. Vorreste mandarmene un sacco anche voi?». I giovani si scusarono e fecero anche arrivare un vero sacco di carbone all’orfanotrofio.

La Casa della Provvidenza e le Suore della Divina Provvidenza
L’orfanotrofio, intanto, aveva preso il nome di “Casa della Provvidenza”. Le orfane ospiti aumentavano, così furono necessari ben cinque cambi di sede dal 1868 al 1899: dalla prima casa di via S. Bartolomeo del Fossato, si passò in via Bombrini, in via Goito, nel Palazzo Boccardo, in via Mameli.
Il 6 dicembre 1892 fu inaugurata la seconda sede dell’opera, a Sestri Ponente; anche quella cambiò svariate sedi. Nello stesso anno, il Re d’Italia Umberto I fece visita a Genova per il quarto centenario della scoperta dell’America; incontrò don Nicolò e gli diede una generosa offerta.
Intanto, come affluivano le orfanelle, così altre giovani maestre scelsero di affiancare Apollonia Dellepiane nella loro educazione; anche alcune ospiti dell’orfanotrofio, una volta cresciute, sentirono il desiderio di consacrarsi a Dio. Don Nicolò comprese che era il momento di dare vita a una nuova famiglia religiosa: sorsero quindi le Suore della Divina Provvidenza.

La paterna carità di “praè” Nicolò
Col passare degli anni, “praè” Nicolò (“praè” o “prè” era l’appellativo dialettale genovese per i sacerdoti) non perse il suo abituale pragmatismo. Appena vedeva che qualche chiodo spuntava dalle panche, rischiando quindi di strappare gli abiti delle orfane, lo ribatteva col martello. Allo stesso modo rimetteva a posto i mobili che venivano regalati.
Quanto all’educazione delle bambine, si preoccupava anche di quella civile: volle che venisse loro impartito l’insegnamento fino alle elementari e che poi imparassero un lavoro, perlopiù di sarta o ricamatrice.
La sua forza in mezzo ai problemi di tutti i giorni era nell’Eucaristia e nella Provvidenza, di cui riconosceva i mezzi divini e umani, come amava dire: «Dio, per dare agli uomini, si serve degli uomini; ma è Lui che dona, e i doni che elargisce sono suoi».
La sua carità si esercitò anche in due occasioni eccezionali: all’arrivo dei Salesiani di Don Bosco a Genova nel 1871, presentò la sua offerta per la ricostruzione della chiesa di San Gaetano. Nel 1887, quando la cittadina di Bussana nel Ponente ligure fu colpita da un terremoto, lui raccolse denaro, aiuti e arredi sacri e partì a consegnare tutto personalmente.

La morte e il compianto di una città
Ormai, però, la sua salute era verso il declino. Nella tarda notte del 7 febbraio 1899, don Nicolò si spense serenamente, circondato dalle sue orfanelle.
La notizia della sua morte sconvolse tutta San Pier d’Arena. Furono elevate le bandiere a mezz’asta, per ordine della Giunta municipale. I suoi funerali furono celebrati nella parrocchia della Cella, poi la sua salma, su un cocchio maestoso, venne condotto al cimitero della Castagna, accompagnato da oltre seimila persone.

La fama di santità e l’avvio della causa
Il suo ricordo è rimasto vivo nel corso degli anni: nel 1901 fu apposta una lapide sulla parete esterna della sede dell’Istituto della Provvidenza e, nella stessa occasione, gli fu dedicata una strada. Nell’ottobre 1905 la sua salma fu traslata in un luogo distinto del cimitero della Castagna, segnalato da un cippo funerario.
In seguito, il 6 luglio 1924, venne trasportata nella cappella della Casa madre delle Suore della Divina Provvidenza, nella sua nuova sede di Salita Belvedere 2. Il 20 maggio 1965 i resti mortali di don Nicolò hanno trovato infine sistemazione nella nuova cappella della stessa Casa.
La continua fama di santità e di segni che aveva accompagnato sia in vita, sia in morte, sia dopo morte la figura di don Nicolò Daste ha condotto le Suore della Divina Provvidenza a muovere i primi passi per l’avvio della sua causa di beatificazione. La Santa Sede ha concesso quindi l’11 maggio 2006 il Nulla osta per l’inizio dell’inchiesta diocesana, la cui prima sessione si è tenuta il 17 febbraio 2017 presso la diocesi di Genova.

Le Suore della Divina Provvidenza oggi
Le Suore della Divina Provvidenza, dette popolarmente “Suore di Don Daste”, hanno visto nel 1916 la revisione delle regole primitive scritte dal Fondatore, ulteriormente riviste e approvate nel 1950 e nel 1982.
Alla Casa madre di Genova Sampierdarena e a quella di Sestri Ponente si sono affiancate quelle di Genova Prà, Genova Quinto, Santa Giulia di lavagna, Ferrada di Moconesi (Genova), Ospedaletti (Imperia), Roma, Spotorno (Savona), Pioltello (Milano). Dagli inizi degli anni Duemila non ospitano più le orfane, ma sono sedi di asili nido, scuole materne e scuole elementari.
Il 7 febbraio 1979, grazie a un incontro dell’allora madre generale, suor Elisabetta Provinciali, con un sacerdote indiano, padre Giuseppe Vilaganden, hanno aperto una casa nella diocesi di Palghat, nello Stato del Kerala. La presenza in India si è poi ampliata, fino a raggiungere sei diocesi. Un’altra casa in terra di missione è in Brasile, nella diocesi di Teofilo Otoni, vicino a San Paolo. In tutto, le suore sono circa 150.

Autore: Emilia Flocchini